In appena tre anni dall’entrata in funzione, il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), una delle opere più discusse e strategiche per l’approvvigionamento energetico dell’Italia e dell’Europa, presenta già segni di cedimento (?) che richiedono interventi manutentivi, ordinari o straordinari che siano. Un’infrastruttura concepita per garantire la diversificazione delle forniture di gas in Europa, riducendo la dipendenza dalla Russia, si ritrova ora al centro di una polemica che riaccende le preoccupazioni degli oppositori, tra inefficienze progettuali e potenziali rischi ambientali.
Crepe nel mantello e campate libere: un progetto fragile
Le criticità emerse riguardano sia il rivestimento cementizio del gasdotto, danneggiato in almeno tre punti, sia la presenza di 15 campate libere, ossia tratti in cui il tubo non poggia direttamente sul fondale marino, con una sezione sospesa che raggiunge i 500 metri. Questi problemi sono attribuiti alle vibrazioni causate dalle correnti del Canale d’Otranto, che hanno sollecitato il mantello esterno in calcestruzzo, spesso 15 centimetri, portandolo a fessurarsi.
Mentre la multinazionale TAP minimizza, definendo le crepe “fisiologiche” assicurando che l’integrità del tubo in acciaio che trasporta il gas non è compromessa, la necessità di intervenire per stabilizzare il gasdotto appare evidente. L’azienda ha infatti richiesto l’autorizzazione al Ministero dell’Ambiente per procedere con lavori di consolidamento, tra cui la posa di pietrisco per eliminare le sezioni sospese.
Rassicurazioni e polemiche
Secondo TAP, le crepe superficiali non rappresentano un rischio immediato né per la sicurezza dell’infrastruttura né per l’ambiente. Il trasporto del gas, affermano, procede in piena sicurezza, e gli interventi previsti rientrerebbero nella manutenzione ordinaria di un’opera che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto garantire affidabilità per almeno 50 anni.
Eppure, l’urgenza stessa degli interventi sembra smentire le rassicurazioni aziendali. I critici, guidati dal Collettivo No TAP, sottolineano come i problemi attuali confermino i timori espressi fin dall’inizio del progetto: un’infrastruttura sottomarina in una zona soggetta a forti correnti e vibrazioni era destinata a presentare problemi strutturali nel breve periodo.
“Clamoroso, ma non troppo”, commentano gli attivisti, che puntano il dito contro una pianificazione giudicata approssimativa e poco attenta ai rischi specifici legati all’installazione in mare. Non mancano inoltre le accuse all’azienda di voler aggirare le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per i nuovi lavori, sostenendo che quella rilasciata in fase di costruzione sia ancora valida.
Un’opera strategica?
La notizia delle crepe e delle campate libere solleva interrogativi più ampi sulla qualità e sull’affidabilità di un’infrastruttura definita “strategica” sia dal governo italiano che dall’Unione Europea. TAP è stato concepito per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza dalla Russia e garantendo un flusso stabile di gas dall’Azerbaijan. Tuttavia, la necessità di interventi manutentivi così precoci mette in dubbio la capacità dell’opera di mantenere le promesse fatte in termini di sostenibilità, efficienza e sicurezza.
La rapidità con cui sono emerse le prime criticità tecniche non può essere considerata normale per un’infrastruttura di questa portata, il cui costo complessivo ha superato i 4 miliardi di euro. La domanda che emerge con forza è: un’opera così giovane, che avrebbe dovuto rappresentare un pilastro per la sicurezza energetica italiana, può davvero permettersi di mostrare segni di deterioramento così presto?
Se le rassicurazioni sulla sicurezza del tubo d’acciaio possono alleviare le preoccupazioni immediate, le implicazioni ambientali non possono essere ignorate. Il tratto sottomarino del TAP attraversa una zona ecologicamente sensibile, e qualsiasi intervento di manutenzione potrebbe avere un impatto sul delicato equilibrio marino.
Inoltre, la vicenda alimenta ulteriori divisioni tra chi considera il TAP un’infrastruttura necessaria per l’indipendenza energetica e chi lo vede come un simbolo di spreco e rischi ambientali. La comunità locale di Melendugno, epicentro delle polemiche, continua a vivere il progetto con diffidenza e apprensione.
Il gasdotto TAP: storia e implicazioni geostrategiche
TAP, acronimo di Trans Adriatic Pipeline, è il segmento finale del Corridoio Meridionale del Gas, un’infrastruttura pensata per trasportare gas naturale dall’Azerbaijan all’Europa, attraversando la Turchia, la Grecia e l’Albania, per poi approdare sulle coste di Melendugno, in Puglia. Inaugurato nel 2020, il gasdotto rappresenta uno dei pilastri della strategia energetica dell’Unione Europea, finalizzata a diversificare le forniture energetiche e ridurre la dipendenza dal gas russo.
Con una capacità iniziale di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ampliabile fino a 20 miliardi, TAP avrebbe dovuto rafforzare la sicurezza energetica europea e offrire un’alternativa economica e stabile alle importazioni di gas dalla Russia. Tuttavia, il progetto è stato sin dall’inizio oggetto di accese controversie, soprattutto in Italia, dove le comunità locali e gli ambientalisti hanno denunciato i potenziali impatti negativi sull’ambiente, inclusa la distruzione di uliveti secolari durante la fase di costruzione.
Sul piano geostrategico, TAP è considerato un successo per l’Europa, capace di integrare una nuova fonte di approvvigionamento energetico. Tuttavia, episodi come quello delle crepe nel rivestimento cementizio e delle campate libere sollevano dubbi sulla sostenibilità a lungo termine di un’infrastruttura che dovrebbe rimanere operativa per almeno cinque decenni.
La domanda che emerge ora è se TAP possa davvero mantenere le promesse fatte o se rischi di diventare un simbolo delle contraddizioni europee: grandi ambizioni strategiche, accompagnate da una scarsa attenzione ai dettagli operativi e alla sostenibilità ambientale.