Smart working 2025: cronaca di un’apocalisse annunciata

Correva l’anno 2025, e il pianeta Terra era ormai diviso in due fazioni inconciliabili: quelli con il pigiama e quelli con la cravatta. Dopo anni di smart working, che hanno visto dipendenti lavorare comodamente da casa in ciabatte e pantaloncini, un oscuro nemico è tornato alla ribalta: l'”Obbligo di rientro in ufficio”.

Il Presidente Trump, tornato in grande stile sulla scena politica, ha firmato un ordine esecutivo che costringe tutti i dipendenti federali a rinunciare al sogno di lavorare dal divano, tornando dietro scrivanie anonime illuminate da luci al neon sfarfallanti. L’annuncio ha mandato nel panico milioni di lavoratori, terrorizzati dalla prospettiva di riavere a che fare con traffico, badge dimenticati a casa e colleghi che mangiano rumorosamente snack croccanti.

Secondo il rapporto LiveCareer “Rientro in ufficio: realtà e previsioni“, siamo al punto di non ritorno: il 60% dei lavoratori prevede che sempre più aziende imporranno il lavoro full-time in ufficio rispetto al 2024. Un trend così preoccupante che le richieste di asilo politico nella Repubblica Indipendente del Divano (tipo il divano dei Simpson’s) stanno aumentando esponenzialmente.

Il sondaggio rivela che il 91% dei lavoratori conosce qualcuno che ha subito la drammatica richiesta di tornare fisicamente in ufficio dal 2023. Di questi, l’86% ha assistito a ripercussioni talmente severe che pare siano state viste squadre speciali di sicurezza aziendale portare via dipendenti riluttanti direttamente dal divano di casa. Nel dettaglio, il 63% ha subito il licenziamento immediato, mentre il 23% è stato colpito da temibili richiami formali scritti in Comic Sans per aumentare il disagio psicologico.

Nonostante il rischio di punizioni severe, la maggioranza dei dipendenti resta stoicamente fedele al telelavoro. Due terzi non scambierebbero il privilegio delle ciabatte per un aumento del 15% dello stipendio, confermando che il comfort è ormai più importante del portafoglio.

Nel frattempo, sui curricula, la voce “lavoro da remoto” ha quasi triplicato la sua presenza: dall’umile 4% nel 2018 all’orgoglioso 11% del 2025. È chiaro che il lavoro da remoto non è più solo una moda, ma un vero e proprio credo religioso con rituali sacri come il “caffè fatto in casa” e l’adorazione della “pausa Netflix”.

Ma non tutto è perduto. Alcuni coraggiosi lavoratori sono disposti a considerare il ritorno in ufficio, purché venga rispettata una serie di condizioni che ricordano molto le trattative di pace tra nazioni belligeranti. Tra le richieste più frequenti ci sono un aumento salariale del 15%, la riduzione della settimana lavorativa a quattro giorni e addirittura ferie illimitate. Quest’ultima proposta pare abbia causato casi di svenimento tra i dirigenti delle risorse umane.

Insomma, il futuro del lavoro appare incerto come un toner esaurito nel bel mezzo di una stampa urgente. Tra l’Apocalisse da Scrivania e la Resistenza da Remoto, solo una cosa è certa: il dibattito continuerà, e chissà che non si arrivi presto a un accordo, magari firmato direttamente dal divano di casa.