Il Comandante Antonio Nahi va in pensione: il Saluto alla comunità

Carissimi colleghi,

Ho ritenuto salutarvi con queste mie riflessioni, un po’ per come ho iniziato fin da studente, raccontando storie e leggende del mio territorio  a cui sono legato da un amore smisurato… poi un sindaco lungimirante, quell’anno (1978), decise di assumermi inizialmente come vigile guida turistica, sfruttando una possibilità regionale prevista per un solo mese estivo. Iniziò così la mia avventura durata 43 anni.

Probabilmente faccio parte della terza generazione di addetti alla polizia locale del dopoguerra, a cavallo tra le “guardie di paese” e i gloriosi vigili urbani, oggi polizie locali. Ritengo di aver fatto parte degli agenti e comandanti nati e operanti in prima linea, a volte in “trincea” e comunque in una terra di frontiera com’è la nostra.

Permettetemi solo qualche considerazione. 43 anni e due mesi sono una esistenza. Bene o male si è parte di una comunità, senza illusioni. Nessuno è indispensabile e facilmente sostituibile. Occorre però essere indispensabili per sé stessi. Quanto è dietro di noi è traccia indelebile del proprio essere, anche se a pochi può importare, approfondire e conoscere quanto si è seminato; i risultati sono cosa scontata, perfino dovuta agli occhi di tanti. La quiescenza porta con sé ogni cosa. Non le frustrazioni purtroppo, quelle restano.

Non sarei onesto con me stesso se non trovassi la forza, il coraggio perfino, di dare una serena – per quanto possibile – valutazione di quanto ho seminato e raccolto. Abbiate la pazienza di seguirmi, prendetelo come uno dei tanti “racconti del Comandante” che pure hanno fatto la loro parte nel far conoscere le nostre vicissitudini, non da meno dalle altre forze dell’ordine… quelle “vere”.

Quando si è supportati da spirito giovanile ed ingenua esuberanza d’amore e dovere per il proprio lavoro, spesso si affrontano situazioni, a volte, inverosimili, se valutate col senno di poi; ed ecco che nei miei pensieri riemergono episodi eclatanti lieti e tristi, qualificanti e amari come impelagarsi in un furto in abitazione e, per assicurare i ladri alle giustizia, sparare per aria, poi all’auto in fuga, con successo pure, se riuscii a colpire le gomme e successivamente con i carabinieri sopraggiunti, consegnare il complice in fuga alla giustizia. Ma chiamato in Questura assaporai l’amara realtà. Avevo tentato di arrestare il ladro nella villa senza accertarmi della presenza del complice (il palo) che proprio alle mie spalle si dava alla fuga su quell’auto a cui sparai incoscientemente… Vi risparmio il seguito ma ingenuo e comunque orgoglioso nulla imparai di quella pur chiara avvisaglia. Non mi fecero né caldo né freddo nemmeno le schermaglie con lo “sfregiato”, lo chiamavano, a capo di una cosca dedita alla vendita di sigarette di contrabbando; neppure un arresto successivo assieme ai carabinieri di un pregiudicato da me denunciato per violenze nei confronti di un collega, anzi l’adrenalina mi faceva ancora più solerte e deciso e non mi rendevo conto dei pericoli dietro l’angolo o le intimidazioni nel rubarmi l’auto per poi farmela ritrovare a titolo di avvertimento e non mi piegò essere aggredito da ignoti rimediando la frattura a una gamba.

Fiero della preghiera e del motto coniato per la mia squadra di agenti, continuavo a ripetermi: “…PRO CIVIBUS / PRAEVENIRE INSPJCERE COERCERE NECESSE EST / Per il bene dei cittadini è necessario / Prevenire ogni abuso, ogni torto; / Controllare ogni luogo in ogni tempo e in ogni ora; / Reprimere con decisione ogni arbitrio / Senza temere minacce e ritorsioni. / Tutto questo è necessario / Per guardare, sereni, negli occhi i nostri figli; (…) /  Per non chinare il capo alle adulazioni; / Per non essere supini e riverenziali  / Al cospetto dei potenti  (…)” .

Nel frattempo piovevano medaglie, riconoscimenti ed encomi, tanti, troppi, tra una inchiesta e l’altra anche nei miei confronti. Sono stato chiamato a rispondere di arresto illegale, sequestro di persona, sequestro irregolare di merce di provenienza furtiva. Ma continuava a sorreggermi sempre quel senso del dovere smisurato, quell’orgoglio innato di far bene il mio lavoro, quello spirito e forza giovanile che, spesso, mi faceva vedere la realtà molto meno amara del devoto.

Intanto gli anni trascorrono, crescono i figli e iniziano i primi scrupoli nell’averli trascurati, nell’aver dimenticato (o non voluto per lavoro?) presenziare una loro recita scolastica, perfino… un loro compleanno (che vergogna). A volte – ancora oggi – sogno di non fare in tempo a prendere in orario mia figlia alla scuola di danza o in piscina o i maschietti in palestra o al catechismo.

Poi negli anni il gioco si fece più duro. Minacce, pressioni di ogni genere; la mia auto incendiata e mio figlio intrappolato in casa con le fiamme che ardevano a ridosso della sua finestra. Perché? Per cosa? Le preoccupazioni esternate dai figli fuori casa per studiare, gli articoli sui giornali… Credi di non trovare la forza di continuare ma lo spirito è forte anche se la carne è debole e non sai se questo è un bene o un male ma continui, perseveri: per coerenza? Orgoglio?

Intanto nella vita cambiano tante cose, assapori più amarezze e delusione che altro. Inizi a chiederti se è valsa la pena ma non cambi; continui a scontrarti con fatti e persone di non poco conto; tutta la nota faccenda TAP che mi porta a consumare energie e salute, sopportare ancora angherie e pressioni senza che nessuno si renda conto del tuo ruolo istituzionale e così, tra l’incudine e il martello, cresce il tormento per l’incomprensione e l’ingratitudine. Anche se in ritardo e poco note giungono poi i riconoscimenti, ti chiedi se “Talvolta il pianto si fece gioia: / quanta la pena? / Difficile calcolarne il peso; / inutile trarne il conto!”.

Poi ancora una denuncia nata dalla cattiveria e l’arrivismo, due anni di inchiesta e poi un’altra ancora con l’accusa di omicidio colposo. Le assoluzioni piene non ridanno la serenità, non compensano le agitazioni che hanno sofferto i tuoi familiari, “il male di vivere” che continua a rodere la tua esistenza. In fine la ciliegina sulla torta: “Associazione per delinquere, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione dei segreti d’ufficio, turbata libertà degli incanti e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”.

Reati per i quali si sta procedendo a una complessa indagine per motivi che ancora mi sono poco noti. Trascinato in una inchiesta che dal punto di vista psicologico e morale fa male, toglie la serenità, la forza di credere, perché non capisci e la ferita continua a sanguinare. Paradossalmente ti chiedi: ma, quale giustizia?

Ti rendi conto che quando si ricoprono alcune posizioni, nei momenti che contano quasi sempre si è soli; soli pure nel prendere decisioni, scelte che apprezzate se danno buon esito, e i meriti sono appannaggio di altri. Caso contrario, sei il solo a risponderne. E fa male, in queste circostanze, non avere sostegni, conforti semmai possono servire. Purtroppo, quando agisce un comandante di polizia locale, dietro non c’è lo Stato italiano a sostenerlo, se va bene, solo una amministrazione.

Allego queste riflessioni al libretto Quaderno d’autunno, pubblicato in soli 77 esemplari per darlo a voi e pochi intimi in questa occasione. Sono poesie che, a dire di molti critici importanti, oltre ad essere l’autunno della mia vita, sono pure un buon lavoro letterario.

Mi congedo con un fraterno abbraccio a quanti miei agenti hanno operato con spirito di abnegazione e senso del dovere, anche non condividendo decisioni dettate, a volte, da scelte inscindibili. Un saluto pure al personale esterno che mi ha supportato e sopportato con pazienza e dedizione e a voi tutti colleghi indistintamente un caloroso fraterno abbraccio da

Tonio Nahi

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