Da anni centinaia di salentini si oppongono alla costruzione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP), contestando la legittimità di un’opera inutile, dannosa, obsoleta e climalterante.
Gli attivisti hanno più volte denunciato il modo di agire della multinazionale, che ha portato avanti i lavori nel territorio di Melendugno senza le autorizzazioni necessarie e nello spregio delle norme a tutela dell’ambiente e della salute dei suoi abitanti.
Ma chi ha cercato di mettere in luce queste violazioni e di ostacolare la devastazione in atto, ha dovuto subire multe pesantissime, fogli di via , denunce di tutti i tipi, e ora i processi.
Un nutrito schieramento di forze dell’ordine è stato disposto a garanzia della continuazione dei lavori, non certo per impedire gli espianti degli ulivi non autorizzati, o l’inquinamento causato dal cantiere, che ha contaminato pozzi, falde acquifere e terreni con sostanze tossiche e cancerogene, quali nichel, manganese, arsenico, azoto nitroso e cromo esavalente.
Reati commessi alla presenza di centinaia di poliziotti, su cui però hanno dovuto indagare l’amministrazione locale e i cittadini.
Solo a danno avvenuto la magistratura si è mossa contro TAP, con il rinvio a giudizio per reati ambientali di 19 persone, dai manager della multinazionale ai responsabili delle ditte d’appalto.
Un processo che inizierà il prossimo maggio, e che sorprendentemente ha visto costituirsi parte civile anche il Ministero dell’Ambiente, cioè lo stesso Ministero che il 12 settembre scorso ha concesso alla multinazionale Tap la proroga di oltre due anni della scadenza della Valutazione di impatto ambientale, permettendole di continuare lo scempio.
Fra le parti civili anche la Regione Puglia, alla cui giunta invano, mesi fa, è stata richiesta di deliberare l’istituzione del “Sito di importanza comunitaria” nel mare di San Foca, per impedire la distruzione del coralligeno minacciato dal passaggio del gasdotto.
Istituzioni che si sono distinte chi per complicità, chi per ignavia, lasciando i cittadini completamente soli a combattere contro la multinazionale.
Sono questi ultimi la vera parte lesa, i cittadini che subiscono la distruzione della natura, l’inquinamento, la prospettiva di convivenza con impianti pericolosi, il furto di democrazia, la militarizzazione del territorio.
E più di tutti sono parte lesa quegli attivisti colpevoli di resistenza che, a partire dal prossimo 9 gennaio, si ritroveranno al banco degli imputati per aver difeso la propria terra.