18 aprile 2016 – Mi è capitato diverse volte, nella mia vita di elettore, di provare l’amara esperienza di veder fallire un referendum cui avevo partecipato con passione ed impegno. Ricordo quello sulla caccia nel 1990, quello sull’abrogazione della lista proporzionale nell’elezione per la camera dei deputati nel 1999, quello sulla fecondazione assistita non mi ricordo quando. Sento ancora oggi il senso di sconfitta e di impotenza, e la rabbia per tutti coloro che avevano scelto la scorciatoia dell’astensione per evitare una probabile sconfitta. Oggi, mi trovo nella condizione opposta. Sono lieto del fallimento del quorum. Tuttavia, c’è una differenza sostanziale. Il referendum di ieri, che fosse stato valido o che fosse fallito, non avrebbe cambiato nulla. Il quesito non riguardava la politica energetica del nostro paese, non chiedeva di scegliere tra petrolio e rinnovabili, non chiedeva se costruire o meno nuove trivelle, non diceva se salvare o distruggere le coste. Niente di tutto questo. Il quesito riguardava un dettaglio irrilevante, tecnico, insignificante: solo ed esclusivamente la durata delle concessioni solo ed esclusivamente per quelle poche trivelle che si trovano entro le 12 miglia dalla costa. Ogni altra considerazione è fantasia. In nessun paese normale un corpo elettorale viene chiamato a consulto per quisquilie del genere. Un anziano giornalista, su Rai news, ha appena opinato che la ragione principale della disaffezione del corpo elettorale al referendum è esattamente l’irritazione che si prova per l’insignificanza dei quesiti. A ciò si aggiunga che il vero motore del referendum di ieri è il conflitto tra i poteri dello Stato, tra governo e regioni, e la riforma del titolo quinto della costituzione. Oltre, ovviamente, alla guerra tra bande all’interno del PD. Per questo, molti miei amici ed io abbiamo deciso di astenerci, e siamo orgogliosi di dirlo e di averlo fatto. E il fatto di essere in compagnia di Giorgio Napolitano e non di Matteo Salvini ci rende sufficientemente certi di essere, stanotte, dalla parte giusta della storia e del Paese.
Andrea Enrico Maggio