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La voce un po’ rauca, stanca e dolente da cantastorie, gli strumenti e il ritmo dei musicisti di strada, la storia una storia senza tempo, buona per ogni dopoguerra, poche parole, immagini topos come da storia mitologica.
E del mito ha il sapore, e non una frase si può spostare da questa architettura di racconto perché la storia resti in piedi, intrisa di emozione come è nata.
Sì, ci sono alcune varianti, si avvertono due o tre parole diverse da quelle che la memoria ci fa anticipare nel canto, ma sono quasi niente, forse un piccolo tributo alla commerciabilità del disco…si sa che il mercato ha le sue leggi.
Bello e straniero, veniva dal mare…tutto qui quello che si può dire di lui.
Ma è tutto quello che non si sa di Lui che colora di nostalgia il canto, che rende roca la voce e dà sofferenza autentica all’interpretazione, sì, autentico dolore per una mancanza antica e mai colmata, né col fumo né col vino.
Poi c’è Lei, nella stanza sul porto, col vestito che si accorcia giorno dopo giorno e non per ragioni di rima…che improvvisa ninne nanne da taverna e gioca alla Madonna suo malgrado…che lascia nel nome la sola eredità.
Infine c’è la musica, la sola che sa ammorbidire la crosta del dolore, che addolcisce una biografia da storia mitologica sì, ma scalognata per una vita da tutti i giorni…e la musica si fa ordito che accoglie la trama di una storia quasi senza storia e la avviluppa, la avvolge nelle emozioni di frasi brevi ed essenziali che diventano il racconto epico di uno dei tanti Gesù Bambino.