Lettera aperta di Antonio Nahi, comandante della polizia locale di Melendugno

Carissimi colleghi,
Con questa “Quarta lettera aperta”, dopo circa tre anni di voluto sofferto silenzio, dopo 42 anni di servizio e alle soglie della quiescenza, credo di dover chiudere in questo modo il mio epistolario con tutti voi, coerente con il mio “modus operandi” anche in questo frangente. Non doveva essere questo il momento ma l’ennesima “mazzata” (iscritto nel registro degli indagati per omicidio stradale) mi induce a farlo ora, con qualche mese di anticipo.
Naturalmente, sono grato a tutti per la vicinanza e solidarietà mostrata e prima di chiuderla qui e non riuscire più a proseguire con quanto, da tempo, intendevo fare e chiarire anche per scusarmi con tutti colloqui del mio… Silenzio, vado al dunque.
Probabilmente faccio parte della terza generazione di addetti alla polizia locale del dopoguerra; mi sono trovato a cavallo tra le “guardie di paese” e i gloriosi vigili urbani, oggi polizie locali. Ritengo di far parte degli agenti e comandanti nati e operanti in prima linea, a volte in “trincea” e comunque in una terra di frontiera com’é la mia.
Mi rivolgo dunque, principalmente alla quarta generazione, ai rampanti e preparatissimi colleghi e ufficiali che spero vedano serie riforme per la nostra categoria.
Non sarei però onesto con tutti voi e con me stesso se non trovassi la forza, il coraggio perfino, di dare una giusta e serena – per quanto possibile – valutazione di quanto ho seminato e raccolto. Abbiate la pazienza di seguirmi fino in fondo e prendetelo come uno dei tanti “racconti del Comandante” che pure hanno fatto la loro parte nel far conoscere le nostre vicissitudini di servizio, non da meno dalle altre forze dell’ordine… quelle “vere”.
Quando si è supportati da spirito giovanile ed ingenua esuberanza d’amore e dovere per il proprio lavoro, spesso si affrontano situazioni, a volte, inverosimili, se valutate col senno di poi; ed ecco che nei miei pensieri riemergono episodi eclatanti lieti e tristi, qualificanti e amari come impelagarsi in un furto in abitazione e, per assicurare i ladri alle giustizia, sparare per aria, poi all’auto in fuga, con successo pure, se riuscii a colpire le gomme e successivamente con i carabinieri, nel frattempo sopraggiunti, consegnare il complice in fuga alla giustizia. Ma chiamato in Questura assaporai l’amara realtà. Avevo tentato di arrestare il ladro nella villa senza accertarmi della presenza del complice (il palo) che proprio alle mie spalle si dava alla fuga su quell’auto a cui sparai incoscientemente… Vi risparmio il seguito ma ingenuo e comunque orgoglioso nulla imparai di quella avventura di quella pur chiara avvisaglia. Non mi fecero né caldo né freddo nemmeno le schermaglie con lo “sfregiato”, lo chiamavano, a capo di una cosca dedita alla vendita di sigarette di contrabbando; neppure un arresto successivo assieme ai carabinieri di un pregiudicato da me denunciato per violenze nei confronti di un collega, anzi l’adrenalina mi faceva ancora più solerte e deciso e non mi rendevo conto dei pericoli dietro l’angolo o le intimidazioni nel rubarmi l’auto per poi farmela ritrovare a titolo di avvertimento e non mi piegò essere aggredito da ignoti rimediando la frattura a una gamba.
Fiero della preghiera e del motto coniato per la mia squadra di agenti, continuavo a ripetermi:
“…PRO CIVIBUS / PRAEVENIRE INSPJCERE COERCERE NECESSE EST / Per il bene dei cittadini è necessario / Prevenire ogni abuso, ogni torto; / Controllare ogni luogo in ogni tempo e in ogni ora; / Reprimere con decisione ogni arbitrio / Senza temere minacce e ritorsioni. / Tutto questo è necessario / Per guardare, sereni, negli occhi i nostri figli; (…) / Per non chinare il capo alle adulazioni; / Per non essere supini e riverenziali / Al cospetto dei potenti (…)” .
Nel frattempo piovevano medaglie, riconoscimenti ed encomi, tanti, troppi, tra una inchiesta e l’altra anche nei miei confronti. Sono stato chiamato a rispondere di arresto illegale, sequestro di persona, sequestro irregolare di merce di provenienza furtiva. Ma continuava a sorreggermi sempre quel senso del dovere smisurato, quell’orgoglio innato di far bene il mio lavoro, quello spirito e forza giovanile che, spesso, mi faceva vedere la realtà molto meno amara del devoto. Intanto gli anni trascorrono, crescono i figli e iniziano i primi scrupoli nell’averli trascurati, nell’aver dimenticato (o non voluto per lavoro?) presenziare una loro recita scolastica, perfino… un loro compleanno (che vergogna). A volte – ancora oggi – sogno di non fare in tempo a prendere in orario mia figlia alla scuola di danza o in piscina o i maschietti in palestra o al catechismo.
Poi negli anni il gioco si fece più duro. Minacce, pressioni di ogni genere; la mia auto incendiata e mio figlio intrappolato in casa con le fiamme che ardevano a ridosso della sua finestra. Perché? Per cosa? Le preoccupazioni esternate dai figli fuori casa per studiare, gli articoli sui giornali… Credi di non trovare più la forza di continuare ma lo spirito è forte anche se la carne è debole e non sai se questo è un bene o un male ma continui, perseveri: per coerenza? Orgoglio?
Intanto nella vita cambiano tante cose, assapori più amarezze e delusione che altro. Inizi a chiederti se è valsa la pena ma non cambi; continui a scontrarti con fatti e persone di non poco conto; tutta la nota faccenda TAP che mi porta a consumare energie e salute, sopportare ancora angherie e pressioni senza che nessuno si renda conto del tuo ruolo istituzionale e così, tra l’incudine e il martello, cresce il tormento per l’incomprensione e l’ingratitudine. Anche se in ritardo e poco note giungono poi le riconoscenze, ti chiedi se
“Talvolta il pianto si fece gioia: / quanta la pena? / Difficile calcolarne il peso; / inutile trarne il conto!”.
Poi ancora una denuncia nata dalla cattiveria e l’arrivismo, due anni di inchiesta e poi un’altra ancora con l’accusa di omicidio colposo. Le assoluzioni piene non ridanno la serenità, non compensano le agitazioni che hanno sofferto i tuoi familiari, “il male di vivere” che continua rodere la tua esistenza. In fine la ciliegina sulla torta: “Associazione per delinquere, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione dei segreti d’ufficio, turbata libertà degli incanti e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”.
Reati per i quali il sostituto procuratore ha proceduto a una complessa indagine che perdurata tre e per motivi che ancora mi sono poco noti. Da qui il mio voluto silenzio fino ad oggi. Trascinato in una inchiesta che dal punto di vista psicologico e morale mi fa male, mi ha tolto la serenità, la salute, la forza di credere, perché non capisco, non concepisco, e la ferita continua a sanguinare. Forse… posso pure capire il perché di tanti estremi gesti nella nostra categoria. Ora anche questa ulteriore sofferenza poi… Omicidio stradale.
Non vorrei concludere in tal modo ma purtroppo DEVO tornare a rivolgermi nuovamente ai giovani agenti e colleghi ufficiali. Non abbassate la guardia dunque ma sappiate che, purtroppo, quando noi agiamo, dietro non abbiamo lo Stato italiano a sostenerci ma solo un bravo comandante e, se va bene, una amministrazione.
Il mio non vuole essere un monito, non vuole essere un lascito, semplicemente il resoconto di una vita, la mia vita nella polizia municipale che tanto ho amato e tanto sofferto.
A voi tutti un caloroso fraterno abbraccio da parte del Comandante (ancora per poco).
Commissario Capo Antonio Nahi

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