La democrazia italiana, almeno quella dei piccoli comuni, sembra attraversare una fase critica. Due episodi recenti in provincia di Lecce – a Melendugno e Collepasso – offrono uno spaccato inquietante di come certi amministratori locali interpretino il mandato elettorale: non come servizio ai cittadini, ma come licenza per zittire ogni voce dissenziente.
Il caso Collepasso: “Chi perde sta zitto”
La sindaca di Collepasso, Laura Manta, ha espresso con brutale chiarezza la sua visione della democrazia durante un consiglio comunale: “Chi perde sta zitto, chi vince può parlare” e “quando diventerete sindaci voi parlerete sempre, oggi il sindaco sono io e parlo io. Così funziona. È democrazia.”
Parole che hanno fatto il giro del web, suscitando indignazione e diventando il simbolo di una concezione autoritaria del potere locale. L’opposizione ha giustamente denunciato come queste affermazioni “minino i principi fondamentali della democrazia e del confronto libero e paritario nelle istituzioni”.
L’effetto domino: da Collepasso a Melendugno
È proprio commentando questa notizia che il consigliere comunale di Melendugno, Andrea Rescio, ha scritto sui social: “Frase che mi sembra familiare… Dove l’avrò sentita?”. Un commento ironico, una semplice battuta che lasciava intendere come anche a Melendugno si fossero sentite frasi del genere.
La reazione è stata immediata e sproporzionata. Il vicesindaco di Melendugno, Mauro Russo, ha risposto con un lungo sfogo pubblico sui social, accusando Rescio di “arroganza”, “atteggiamento irrispettoso” e “grave mancanza di comprensione delle dinamiche politiche”. Un attacco personale che trasformava una critica politica in una questione caratteriale, violando ogni principio di compostezza istituzionale.
Il paradosso del “palazzo trasparente”
L’ironia della vicenda si fa ancora più amara se si ricorda che l’attuale amministrazione di Melendugno, vincente nel 2022, aveva fatto della trasparenza il proprio cavallo di battaglia, promettendo un “palazzo trasparente” e una nuova stagione di apertura democratica.
Eppure, di fronte a una semplice critica ironica di un consigliere comunale, la reazione è stata quella di attaccarlo pubblicamente sui social, accusandolo di seguire i lavori “in ossequioso silenzio” nelle sedi istituzionali ma di “sbraitare” sui social. Una contraddizione stridente: il vicesindaco Russo rimprovera a Rescio di usare i social per la politica mentre lui stesso lo fa, lamentandosi che non parli nelle “sedi competenti” pur scegliendo proprio Facebook per rispondergli.
Entrambi i casi rivelano un uso distorto dei social media da parte di chi ricopre ruoli istituzionali. Se per i cittadini e i consiglieri i social possono essere strumenti legittimi di critica e dibattito politico, per sindaci e vicesindaci dovrebbero rappresentare canali di trasparenza, informazione e dialogo costruttivo, non palcoscenici per regolare conti personali o politici.
Il vicesindaco di Melendugno Russo ha trasformato la propria pagina social in un tribunale personale, confondendo il ruolo privato con quello pubblico e dando vita a quello che gli esperti di comunicazione chiamano “effetto Streisand”: il tentativo di zittire una critica ne ha amplificato la portata, trasformando una battuta in un caso pubblico.
La democrazia vera: molto più del “vincitore che prende tutto”
Questi episodi pongono una domanda fondamentale: cos’è davvero la democrazia nel 2025? Non è certamente la versione autoritaria teorizzata dalla sindaca di Collepasso o praticata dal vicesindaco di Melendugno.
La democrazia è innanzitutto pluralismo: il riconoscimento che esistono visioni diverse e che tutte hanno diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico. Non è il silenzio forzato dell’opposizione, ma il confronto dialettico che arricchisce le decisioni.
È controllo e bilanciamento l’opposizione non è un fastidio da sopportare, ma una componente essenziale del sistema democratico. Il suo ruolo di controllo dell’operato della maggioranza non è un disturbo, ma una garanzia contro le derive autoritarie.
È partecipazione continua: la democrazia non si esaurisce nel voto di cinque anni fa, ma richiede un coinvolgimento costante dei cittadini e delle loro rappresentanze. Chi vince le elezioni ottiene il diritto di governare, non di zittire.
È rispetto delle regole non scritte: esistono principi di correttezza istituzionale che vanno oltre le norme. Un vicesindaco che attacca pubblicamente un consigliere sui social viola queste regole, anche se non infrange alcuna legge.
È trasparenza autentica: non quella a senso unico che illumina solo i successi dell’amministrazione, ma quella che accetta il confronto, la critica e il dissenso come elementi nutritivi della democrazia.
La democrazia, insomma, non è il “vincitore che prende tutto” e zittisce gli altri fino alle prossime elezioni. È un sistema complesso che si nutre del confronto, del rispetto reciproco e della capacità di costruire ponti tra posizioni diverse.
In un’epoca in cui la democrazia affronta sfide globali come la polarizzazione e l’erosione della fiducia nelle istituzioni, esempi come quelli di Collepasso e Melendugno rappresentano una pericolosa deriva che allontana i cittadini dalla partecipazione democratica.
La politica locale, quella più vicina ai cittadini, dovrebbe essere la palestra dove si pratica la democrazia nel suo senso più autentico. Quando invece diventa l’arena dove si teorizza il bavaglio dell’opposizione o si attaccano pubblicamente i consiglieri per una battuta ironica, allora è l’intera architettura democratica a vacillare.
I cittadini di Collepasso e Melendugno meritano amministratori che comprendano la differenza tra governare e comandare, tra vincere le elezioni e conquistare il potere. La democrazia non è proprietà di chi vince, ma patrimonio di tutti.
Francesco Cappello