Dai muri antichi ai manifesti moderni: l’evoluzione della propaganda politica
Fin dall’antichità, le pareti delle città hanno rappresentato un luogo privilegiato per la comunicazione politica e la propaganda. A Pompei, prima dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., le mura non erano soltanto silenziose testimoni della vita quotidiana, ma vere e proprie superfici sulle quali dipingere messaggi di sostegno per i candidati alle cariche pubbliche, annunci e slogan. Queste iscrizioni, scritte a mano e bene in vista, possono essere considerate fra le più antiche forme di “manifesti”, antesignane della moderna comunicazione politica.
Nei secoli seguenti, con l’invenzione della stampa, i messaggi di propaganda poterono diffondersi ben oltre i confini delle città. I manifesti, stampati in molteplici copie, affissi in luoghi pubblici e facilmente reperibili, divennero un potente strumento di influenza sull’opinione pubblica, permettendo ai gruppi di potere, ma anche ai loro oppositori, di attaccare o sostenere personaggi pubblici, idee e politiche. Ovviamente bisognava saper leggere!
Contemporaneamente, si svilupparono anche forme più sottili e provocatorie di comunicazione politica. Le celebri pasquinate, brevi componimenti satirici affissi sulla statua di Pasquino a Roma, trasformarono i muri in palco per una critica corrosiva contro governanti e alte cariche ecclesiastiche, dando voce al dissenso popolare. Dal “manifesto” scarno e primordiale di Pompei, alle stampe distribuite a larga scala, fino alla satira pungente delle pasquinate, la storia della comunicazione politica scritta su muri e fogli è un percorso affascinante, che svela il ruolo decisivo dello spazio pubblico nella formazione e nella diffusione delle idee.
L’evoluzione dei manifesti politici e dei messaggi pubblici, tuttavia, non conobbe soltanto forme di critica costruttiva o satira pungente: nel corso del Novecento, con l’avvento dei regimi dittatoriali, la comunicazione visiva e testuale sui muri divenne uno strumento di controllo, terrore e conformismo ideologico. Se da un lato i manifesti servivano a glorificare il leader, a sostenere lo sforzo bellico e ad alimentare il culto della nazione, dall’altro incoraggiavano la delazione contro i “nemici interni”, invitando i cittadini a segnalare dissidenti e oppositori. L’affissione pubblica si trasformò così da mezzo di libera espressione, critica e propaganda pluralistica, a veicolo di un pensiero unico imposto dall’alto, in cui le immagini e gli slogan servivano a controllare e uniformare la società.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i manifesti politici e di propaganda elettorale subirono un’importante trasformazione, specialmente nei Paesi che stavano ricostruendo le proprie istituzioni democratiche. Non più limitati a veicolare la retorica del potere totalitario o del conflitto, essi iniziarono a riflettere la pluralità e la competizione tra partiti politici, movimenti e correnti ideologiche nel nuovo contesto della democrazia parlamentare. In Europa e in altre aree del mondo, i manifesti divennero strumenti fondamentali per la promozione di candidati, programmi e valori, utilizzando un linguaggio più moderato e mirato al convincimento anziché all’imposizione. Si puntava sulla persuasione dell’elettore, sulla presentazione di piattaforme politiche, sulla valorizzazione dell’immagine del candidato e su uno stile grafico che guardava alla modernità e al marketing, anticipando l’evoluzione della comunicazione politica verso i media di massa, la televisione e, in seguito, il digitale.
La rivoluzione digitale: opportunità e rischi della comunicazione online
Con l’avvento di Internet e dei social media, l’evoluzione del manifesto politico compie un ulteriore balzo in avanti, assumendo forme e dinamiche del tutto nuove. Dopo la stagione in cui la propaganda e l’informazione politica passavano attraverso i fogli stampati e le affissioni fisiche, la rete ha aperto le porte a una comunicazione virtualmente illimitata, istantanea e accessibile a tutti. Prima furono i forum di discussione, luoghi digitali dove appassionati, attivisti e cittadini comuni potevano confrontarsi, polemizzare, diffondere idee e persino improvvisare rudimentali volantini digitali. Con la nascita e la diffusione di piattaforme come Facebook, Twitter e, più di recente, TikTok e Instagram, non è più necessario recarsi dal tipografo o ottenere l’autorizzazione per affiggere manifesti su una bacheca pubblica: chiunque, con un post ben mirato, un’immagine accattivante o un video virale, può “affiggere” il proprio manifesto politico sul muro globale della Rete.
In questo scenario, il controllo della comunicazione diventa più complesso, la censura difficile e il dibattito più frastagliato. I partiti politici, i candidati, ma anche singoli individui e gruppi di pressione, hanno a disposizione strumenti potentissimi per raggiungere il pubblico. Se da un lato questo moltiplica le possibilità di informazione, creando un’arena ricca di voci diverse, dall’altro espone a manipolazioni, fake news e propaganda volutamente distorsiva. Nel mondo digitale, il manifesto non è più soltanto un foglio appeso su un muro di strada: è un contenuto replicabile all’infinito, un meme, un tweet, un video, una storia, in costante circolazione e mutamento. Di fatto, la globalità e la democratizzazione dell’accesso alla “stampa virtuale” hanno trasformato la comunicazione politica in un flusso incessante e partecipato, dove ciascun utente può – nel bene e nel male – diventare editore, stampatore e “affissore” di idee.
Tutta questa facilità di accesso, il sovraccarico di informazioni, tra cui l’infinita proliferazione di “manifesti” politici in forma digitale, può esercitare un effetto paralizzante sulla capacità di discernimento e di attenzione del pubblico. Una quantità eccessiva di messaggi, spesso fra loro contraddittori, si affastella sullo schermo, mettendo a dura prova la capacità di concentrarsi, analizzare e valutare criticamente i contenuti.
In questo panorama, la disponibilità potenzialmente illimitata di opinioni e posizioni può condurre a due fenomeni opposti ma ugualmente problematici. Da un lato, l’information overload, ovvero l’eccesso di informazione, spinge alcune persone a rifugiarsi in semplificazioni, a sviluppare diffidenza verso le fonti o a ignorare del tutto i contenuti, sovrastate da un flusso continuo e caotico. Dall’altro lato, la facilità di produrre e condividere messaggi spinge alla frammentazione del dibattito, incoraggia le cosiddette “echo chambers” (camere dell’eco) in cui si ascoltano solo voci concordi, limitando così la capacità di comprensione del quadro complessivo e incrementando la polarizzazione.
Non necessariamente, tuttavia, tutto ciò equivale a un “annichilimento delle menti”. Se da una parte il sovraccarico e la mancanza di filtri possono ostacolare una riflessione critica, dall’altra la consapevolezza di questi rischi sta portando allo sviluppo di nuove strategie di alfabetizzazione mediatica, fact-checking e formazione al pensiero critico. In un ambiente digitale così complesso, la sfida è imparare a navigare fra le informazioni, a selezionare fonti affidabili e a mantenere una mente aperta ma vigile. In definitiva, è la qualità dell’educazione all’informazione e alla critica del messaggio – più che la semplice quantità dei contenuti – a fare la differenza tra annichilimento e arricchimento intellettuale.
la storia dei manifesti politici, dalle scritte murarie di Pompei alle satiriche pasquinate, dai volantini a stampa fino alle campagne digitali odierne, mostra come il dibattito pubblico si sia costantemente adattato alle trasformazioni tecnologiche e culturali. Oggi, nell’era dei social media, chiunque può diffondere un messaggio di propaganda o di critica, mettendo in circolo informazioni, opinioni e idee in tempo reale. Tuttavia, questa democratizzazione non significa necessariamente una maggiore chiarezza: l’abbondanza di voci, la facile manipolazione dei contenuti e l’effetto “camera dell’eco” rendono più complessa la formazione di un giudizio consapevole.
Questione Roca: il caso Melendugno
Non bisogna andare lontano per comprenderlo: basti pensare alla recente vicenda che sta animando il dibattito politico a Melendugno, dove i gruppi di opposizione, sconfitti alle amministrative del 2022, stanno esercitando pressioni sui rappresentanti di maggioranza riguardo a una proposta di partenariato presentata da un privato per la gestione dell’area archeologica di Roca e delle Grotte della Poesia. Un progetto di lunga durata – 15 anni, più altri 15 potenzialmente rinnovabili – che l’opposizione contesta, invitando la maggioranza a non procedere. Anche in questo contesto locale, dunque, manifesti e messaggi, pur non sempre affissi su un muro, si propagano nei canali digitali, nei social network, nelle bacheche online, contribuendo a formare l’opinione pubblica e a orientarne le scelte.
La lezione è chiara: il vero discrimine non è la tecnologia o il medium utilizzato, ma la capacità di valutare criticamente ciò che si legge, si ascolta e si condivide. Dalle antiche scritte murali ai post su Facebook, la sfida principale rimane quella di costruire una società informata e consapevole, in cui cittadini, amministratori e oppositori politici possano confrontarsi con strumenti adeguati e un bagaglio di competenze critiche in grado di illuminare le decisioni, tanto a livello globale quanto nel piccolo dei nostri comuni.