Alla memoria di Elisa Springer, sopravvissuta all’Olocausto e forza di resilienza

Quasi trent’anni fa, in una fredda sera di gennaio, ho avuto l’onore di conoscere Elisa Springer. La prima impressione fu devastante: una donna, segnata come un animale, portava sul suo corpo il segno indelebile di un numero identificativo bruciato nella sua pelle. Lizzi, come la chiamavano i suoi genitori, distante anni luce dalla politica, fu travolta dalla furia nazista e internata in un campo di concentramento, vittima della religione ebraica.

L’infanzia a Vienna e il drastico cambiamento del 1938

Elisa Springer, nata il 12 febbraio 1918 a Vienna, proveniva da una famiglia di commercianti austriaci originari dell’Ungheria. La sua infanzia e adolescenza furono segnate dalla serenità, ma tutto cambiò radicalmente nel giugno del 1938. Suo padre, Riccardo Springer, uno dei primi ebrei austriaci ad essere arrestato e deportato, morì a Buchenwald pochi mesi dopo l’arresto. Questo evento segnò l’inizio di una tragedia che avrebbe sconvolto la vita di Elisa.

La fuga a Milano e le sfide durante la Seconda Guerra Mondiale

Nel 1939, Elisa Springer, per sfuggire alle violente persecuzioni che coinvolsero sua madre Sidonia Bauer e gran parte della sua famiglia, fuggì a Milano. La madre, dopo svariate traversie, riuscì a raggiungere Budapest, ma le notizie su di lei si persero nel 1941. A Milano, Elisa iniziò a lavorare come traduttrice privata e ottenne persino una falsa identità. Tuttavia, tradita, venne arrestata e deportata ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Resistette alle terribili condizioni del campo fino al maggio 1945, quando finalmente fu liberata.

La rinascita dopo la liberazione e la vita a Milano

Dopo la guerra, Elisa Springer ritornò a Milano. Nel 1948, sposò e avviò una nuova fase della sua vita. La Puglia, e in particolare Manduria, diventò il rifugio della sua storia. Qui, nascondendo il suo passato, Elisa costruì una nuova esistenza. Nessuno nella comunità sapeva della sua incredibile storia di sopravvivenza e resilienza.

Il silenzio e il racconto tardivo alla famiglia

Elisa Springer scelse di mantenere il silenzio sulla sua esperienza per lungo tempo. Solo in età adulta, raccontò la sua storia al figlio, condividendo le origini e le vicissitudini vissute durante quegli anni bui. Il silenzio aveva protetto il suo cuore ferito, ma alla fine sentì il bisogno di trasmettere il ricordo del passato alla generazione successiva. Testimonianza di quanto le accadde lo potete vedere presso il centro di documentazione ebraica nell’intervista che rilasciò, il 2 novembre 1995 nell’Hotel Glob della cittadina di Oswiecim (Auschwitz), a Liliana Picciotto nell’ambito del progetto “Interviste alla storia”. Nel 1997 pubblicò “Il silenzio dei vivi” che rappresenta una sorta di catarsi per ciò che fu costretta a subire durante l’internamento. A Elisa Springer è intitolato l’Istituto Comprensivo Statale di Surbo. Il 19 settembre 2004, all’età di 86 anni, ha concluso la sua vita terrena.

Elisa Springer: ricordare e impegnarsi per un futuro di pace

La storia di Elisa Springer è una testimonianza toccante della forza dell’animo umano di fronte all’orrore. La sua esperienza, segnata dall’ingiustizia e dalla brutalità, riflette la necessità di ricordare il passato per evitare che gli errori dell’umanità si ripetano.

Il Giorno della Memoria è un richiamo costante per tutti noi a impegnarci contro l’odio, la discriminazione e l’intolleranza. La storia di Elisa Springer ci insegna che la resilienza e la speranza possono emergere anche dalle situazioni più buie, e il suo legato vive attraverso la consapevolezza e l’impegno a costruire un futuro di pace, dove nessuno debba mai vivere l’orrore che lei ha conosciuto. La sua storia ci invita a riflettere su quanto sia fondamentale combattere per un mondo in cui la diversità sia celebrata e la memoria degli orrori passati guidi il nostro impegno per un futuro migliore.

 

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