Caso Coldiretti e Trump: quando la moderazione diventa limitazione della libertà di espressione sui social network

I social network sono diventati uno dei principali canali di informazione e di espressione delle idee per miliardi di utenti in tutto il mondo. Tuttavia, le politiche di moderazione dei contenuti applicate dalle grandi piattaforme possono a volte tradursi in una limitazione della libertà di espressione, soprattutto quando colpiscono associazioni o figure che promuovono idee non in linea con il mainstream.

Un caso emblematico è quello del ban di Donald Trump da Twitter, avvenuto all’indomani dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. L’allora presidente degli Stati Uniti è stato cacciato dal social network con l’accusa di aver incitato alla violenza i suoi sostenitori. La decisione di Twitter, seppur controversa, è stata salutata da molti come necessaria per limitare l’influenza di Trump, ritenuto alla stregua di un pericolo per la democrazia. Altri, però, hanno denunciato una pericolosa deriva censoria da parte dei colossi del web.

Un altro esempio di moderazione discutibile è quello operato da Facebook ai danni della Coldiretti, principale associazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana. Come denunciato dalla stessa Coldiretti, Facebook ha rimosso un post in cui veniva promossa una campagna di raccolta firme contro i cibi sintetici, bollandolo come disinformazione. Secondo il social network, definire “sintetici” i cibi prodotti in laboratorio sarebbe scorretto, in quanto si tratterebbe di “carne coltivata”. Tuttavia, come sottolineato dalla Coldiretti, il termine “cibi sintetici” è comunemente usato in ambito accademico e mediatico, mentre “coltivata” potrebbe risultare fuorviante.

In sostanza, la presunzione dei colossi del web di poter riscrivere il significato delle parole e decidere quali idee siano legittime e quali no rappresenta una preoccupante deriva che può minare il dibattito democratico. Le policy di moderazione dovrebbero punire le vere discorsive d’odio e la disinformazione, non il dissenso o la libera espressione di posizioni controverse. Quando vengono applicate in maniera troppo rigorosa, rischiano di trasformare i social in bolle autoreferenziali incapaci di ospitare un genuino scambio di opinioni.

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